Quell’eduardiano “Fujtevenne”

1315

Si avverte nell’aria un desiderio non espresso, triste e malinconico: è quel grido disperato, a torto o a ragione, “Fujtevenne” di edoardiana memoria, sussurrato anche da chi lotta quotidianamente per resistere alla fuga.

Tuttavia Napoli non è solo disagio e criminalità, è tanto altro, ma si avverte comunque quello stato d’animo mai sopito, di rimando e si spera che qualcosa si avveri per i propri figli, perché possano trovare un ambiente più sereno altrove, che consenta una vita normale, nient’altro che questo.

Esso va oltre il generoso sforzo messo in campo dalle forze dell’ordine, che pure hanno il gravoso compito di controllare un territorio problematico, devastato dalla mancanza di una cultura della legalità. Una città sotto continuo scacco da chi predica cieli azzurri, mentre intorno s’intravede sempre più il buio del degrado. Troppe volte, proprio dalla nostra radio, abbiamo lanciato appelli contro ogni forma di disfattismo, di quanti offrono un’immagine eccessivamente distorta della città. La dignità e i valori della nostra terra, non possono, però, esimerci dal prendere atto di quanto una cattiva gestione e amministrazione delle cose sta davvero deturpando il volto di Napoli.

Il malessere, piccolo o grande che sia, non depone le armi, il numero dei disservizi cresce sotto gli occhi sempre più sfiduciati, nonostante gli appelli alla speranza e la volontà di uscire per sempre da questa “nuttata ”, da quello che appare sempre più un vicolo cieco. Eccola ila città del disagio quotidiano. Un alberello natalizio che va e viene dalla Galleria Umberto. E un presepe dove ormai il bue e l’asino sono sostituiti da Hitler e/o Cavani o da chissà chi. L’intero Natale non gode buona salute se i suoi simboli diventano grotteschi ,o fuori luogo, in una ormai estenuante soap-opera, una sorta di fanzine degli orrori e errori. Napoli sembra essere avviluppata in un eterno “guardie e ladri”, come se tutto ciò tenesse nascosto, in ostaggio, l’ultima sua vittima: il Natale stesso. Ci piacerebbe pensare a un periodo di pace, composto e riposante e non orpelli e grida manzoniane che si estendono fra Palazzo San Giacomo, Decumani e Plebiscito. Se possibile, ridateci il “Natale”, almeno questo.