VITTORIO RAIO
E’ il 9 marzo 1969 quando entro a far parte quale collaboratore della grande famiglia de Il Mattino. La mia prima partita è a San Giorgio a Cremano: Alba San Giorgio-Juniores Pompei 1-5. Da quel giorno la mia frequentazione nelle stanze dell’Azienda diventa sempre più assidua, costante. Partite di Prima categoria, poi di Promozione, interviste con big del calcio campano, quale l’indimenticabile Antonio Valese a Pagani, sin quando grazie ad Enrico Marcucci, redattore capo del settore Province de Il Mattino e direttore di Sport Sud, approdo nella redazione sportiva del Corriere di Napoli, quotidiano della sera del Gruppo editoriale di via Chiatamone.
Ben presto, unitamente a Mimmo Porpiglia, Franco Esposito e Antonio Corbo, vengo mandato al San Paolo dove il Napoli effettua gli allenamenti. Noi collaboratori dobbiamo informare i lettori come puntualmente e splendidamente fa per Il Mattino Romolo Acampora, figura di riferimento per tutti noi giovanissimi. In quel periodo, siamo agli inizi degli anni 70, al San Paolo ogni giorno di ogni settimana ci ritroviamo in pochi per prendere visione di quanto accade nel Napoli di Antonio Juliano. C’è il già citato Acampora con Sergio Troise quale “alternativa di lusso”, ci sono Italo Kuhne o Maurizio Romano della Rai, Ciccio Degni del Corriere dello Sport, Ciro Buonanno de La Gazzetta dello Sport, Clemente Hengeller o Umberto Nardacchione del Roma, Nino Masiello per Tuttosport e poi a rotazione noi giovanissimi.
Questa pattuglia di giornalisti, ogni giorno, viene accolta nello spogliatoio del San Paolo con il senso dell’accoglienza e con il caffè di don Gaetano Masturzo, il magazziniere. I cronisti arrivano, fermano l’auto nella discesa del passo carraio e poi entrano nello spogliatoio dove i calciatori smettono i panni borghesi per indossare divise e tute. Si sta tutti insieme, si scambiano battute anche con lo straordinario Salvatore Carmando, si sorride e, talvolta, ci si confronta anche a muso duro. Raramente succede di andare oltre, anche se qualche alterco o poco più si verifica. Ciò capita dopo qualche partita giocata al di sotto delle aspettative e delle possibilità dei singoli, dopo qualche giudizio o pagella non graditi dai calciatori. Ciò non toglie che il giorno dopo tutto è cancellato e il caffè di don Gaetano riapre la giornata e l’allenamento. Si vive a stretto a contatto, calciatori e giornalisti. Si sale insieme la scala che dal tunnel porta al terreno di gioco. I cronisti, a fine allenamento, scelgono addirittura quale calciatore intervistare.
Negli anni, con l’aumentare delle testate giornalistiche, con un calcio sempre più sponsorizzato e più asettico, sempre più legato al dio denaro e sempre meno “sentimentale”, si assiste al progressivo distacco dei due mondi. Le squadre si isolano nel loro, i cronisti vedono venir meno la fonte diretta delle notizie, sono costretti a rincorrerle, a cercare il confidente (o meglio, i confidenti) nello spogliatoio. Un bene per certi aspetti, ma c’è nostalgia di quel rapporto diretto, di quegli aspri confronti dopo una partita, di quelle dispute verbali tra il giudicante e il giudicato.
Nel club partenopeo l’anno dell’inizio della separazione tra cronisti e calciatori del Napoli è quello che vede Beppe Bonetto quale direttore generale. Le prime avvisaglie si notano già nel ritiro a San Terenziano a livello di rapporti tesi e di interviste. Le prime “restrizioni” per i cronisti con l’avvio delle partite. Vengono pregati di evitare di prenotare e quindi di frequentare lo stesso albergo dove alloggia la squadra e quando è possibile di partire con un volo diverso da quello degli azzurri per trasferirsi nella località della partita. Siamo solo all’inizio. I giornalisti provano a far presente che c’è una violazione di diritti sacrosanti, che è assurdo tentare di invertire la storia di anni ed anni, di rapporti nati e consolidatisi. Nulla da fare. Bonetto, un grande precursore dei tempi, è un muro. Occorre adeguarsi. E ci adeguiamo, ma qualcosa lentamente inizia a mutare. Si viaggia verso le stesse città, si va negli stessi stadi, quasi sempre si spera di centrare lo stesso obiettivo, la vittoria (c’è sempre stato qualche cronista con passione calcistica diversa), ma non c’è più lo stesso rapporto tra calciatori e giornalisti. Non tutti i mali vengono per nuocere, ma a distanza di anni, il rapporto si azzera, soprattutto per l’infinità di cronisti al seguito, ma anche per la scelta di tenere isolati e in silenzio allenatori e atleti.
Quando esco da Il Mattino, il 30 giugno 2009, Toni Iavarone mi dice: “Vai via dal giornale nel momento in cui il calcio sta compiendo l’ultimo passo verso l’isolamento: ben presto, per avere un’intervista dovremo pagarla”. I fatti gli daranno ragione. Oggi, ai cronisti viene vietato di assistere a tutti gli allenamenti, sono pochi i calciatori che rilasciano interviste e quasi sempre solo in presenza di un robusto rapporto economico tra il club e la testata, quasi sempre di un’Azienda importante quale Sky o Mediaset. Tutto in nome del dio denaro. Con tanti saluti al sorriso e al gustosissimo caffè di don Gaetano Masturzo.